venerdì 8 aprile 2011

Diario dalla tunisia

Prima di ogni partenza c’è sempre un po’ di paura, paura di aver dimenticato qualcosa, paura del viaggio che si sta per fare, paura delle cose che non si conoscono e che non sono la nostra quotidianità. Ma questo non è un viaggio come un altro, non è l’inter-rail con lo zaino in spalla, non è il volo low cost trovato all’ultimo secondo, non è il viaggio regalato dalla mamma, non è l’esperienza di volontariato fatta per fare qualcosa di diverso. Oggi parte la carovana “Uniti per la libertà”, partiamo in sessanta tra studenti, precari e disoccupati da tutta Italia per andare in Tunisia.
In tanti studenti abbiamo deciso di partecipare alla carovana, di metterci in viaggio verso l’altra sponda del Mediterraneo, e mentre l’Europa e i suoi governi tremano per la paura delle conseguenze dei rivolgimenti in questi paesi, noi sentiamo il fascino e l’attrazione per chi ha deciso ed è riuscito a cambiare il destino del proprio paese, della propria vita e del mondo intero. Perché se un battito d’ali ha conseguenze dall’altra parte del mondo, non possiamo ancora immaginare quali conseguenze avranno queste nuove rivolte arabe. Stiamo partendo da tante università d’Italia perché sentiamo un filo che ci unisce a queste rivolte, perché ci sentiamo di tessere una stessa trama da Londra a Tunisi, da Roma al Cairo.
CAROVANAStunisi-ap-1
campo profughi di Ras - Jadire
Oggi, appena arrivati, incontreremo gruppi di studenti e giovani tunisini, ragazzi che hanno cambiato la storia del loro paese, ma che vogliono anche cambiare la loro vita, lottano contro la disoccupazione, la precarietà e la mancanza di garanzie nella loro vita. Queste non sono solo delle leggere somiglianze: la nostra generazione vive una condizione comune è per questo che stiamo andando in Tunisia. Non andiamo solo per portare degli aiuti umanitari, non andiamo per imparare come si fa la “Rivoluzione”, stiamo andando in Tunisia per riconoscere la nostra condizione comune di generazione senza futuro. Nessuno di noi può andare avanti senza conoscere l’altro, nessuno di noi basta più a se stesso.
Incontreremo le donne che hanno attraversato le piazze delle rivolte, sperando di superare tutti i nostri blocchi e luoghi comuni sulla condizione delle donne nel mondo arabo. Ci faremo insegnare che cosa significa accoglienza nel campo profughi di Ras Jadir, dove vengono aiutato chi fugge dalla Libia. Incontreremo i laureati senza lavoro in sciopero della fame a Sidi Bou Zid e ci confronteremo su cosa significa frequentare un’università dequalificata che ti lascia in balia di un mondo del lavoro precario, mentre ingrossiamo le fila dei disoccupati. Oggi su giornali italiani Tunisia significa immigrazione clandestina e sovraffolamento di Lampedusa, sono già state dimenticate le settimane di gennaio e lo sforzo quotidiano dei tunisini per la costruzione di un paese migliore. Il rumore delle bombe della Libia sta comprendo le urla delle lotte che continuano dalla Siria allo Yemen, dall’Egitto alla Tunisia. Oggi, partendo per la Tunisia vogliamo far diventare il Mediterraneo un ponte e un luogo dove si muore in cerca di un vita migliore, perché la realtà è che i giovani tunisini scappano dalla disoccupazione e vengono verso l’Italia, ma i giovani italiani hanno iniziato ha scappare in fuga dalla precarietà verso altri paesi, e in questa corsa verso l’ignoto forse ci incontreremo a metà strada, per capire come smettere di fuggire, e forse allora sì che saremo uniti per la libertà.

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