sabato 9 aprile 2011

Incontro con gli studenti
Scendiamo dall’aereo e dalle ore 11.20 siamo in Tunisia. La prima idea che si ha della Tunisia post dittatura di Ben Ali è la confusione, non è facile stare dietro  alla frenesia di questo paese, non è semplice capire che cosa sta effettivamente accadendo.  Subito ci dividiamo tra chi deve presentare la carovana Uniti per la libertà alla stampa tunisina, chi deve controllore che tutti i medicinali per il campo profughi siano arrivati, e noi, gli studenti di UniCommon, che andiamo ad incontrare i movimenti studenteschi tunisini alla sede del sindacato UGTT. 

La Tunisia è passata da un regime  praticamente a partito unico ad una proliferazione e fermento di attività politica, sono nate più di cinquanta formazioni politiche e non si contano più i gruppi informali. Per decenni è stato impossibile parlare, discutere, riunirsi e condividere esperienze ed emozioni sulla propria vita, per tutti questi lunghi anni è stato difficile esprimere le proprie idee politiche come la propria fede religiosa. La società civile tunisina è stata silente e sopita, ma dal 17 dicembre, da quando un ambulante diplomato si è bruciato nella piazza di Sid Bou Zid per protesta, le contraddizioni sono scoppiate e da quel giorno non si torna più indietro. Se prima nessuno poteva e voleva parlare, ora tutti devono parlare esprimere la propria opinione, contare nella discussione pubblica, nessun o vuole più rimanere escluso e tutti vogliono raccontare il loro ruolo durante le giornate di dicembre e gennaio.
L’incontro con gli studenti tunisini è stato coinvolgente, confuso, magmatico, in poche parole esplosivo! Le lotte degli studenti, dei disoccupati, dei lavoratori hanno una lunga storia più o meno sommersa qui in Tunisia, ma la rivoluzione, così  viene chiamato il movimento che ha cacciato Ben Ali, ha sorpreso tutti, ed è andata al di là di ogni aspettativa. Nessuno si sarebbe mai immaginato di riuscirci veramente, non il sindacato, non i partiti di opposizione, non i giovani disoccupati, ma così è stato: il 14 gennaio il dittatore, che governava il paese dal 1987, è scappato senza nessun messaggio per il paese, lasciando un vuoto di potere che da quel giorno è stato difficile colmare. Inizia così la parte più difficile, la cacciata del tiranno c’è stata, ora, però, bisogna distruggere la tirannia. Le contraddizioni stanno esplodendo: la disoccupazione giovanile, la corruzione di tutte le istituzioni, la condizione delle donne, ma soprattutto in queste ultime settimane emerge il problema della relazione con la religione islamica, sia nelle sue espressioni più moderate che in quelle più radicali, vero incubo dell’occidente.
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Qui le manifestazioni si susseguono, anche oggi mentre eravamo in assemblea con gli studenti, sono arrivate le voci di duri scontri con la polizia, cominciati dopo la preghiera del venerdì, anche per l’imposizione del governo provvisorio d el divieto di pregare in piazza.Gli scontri però non sono stati tra gruppi di islamisti radicali e le forze dell’ordine, ma tra tanti giovani accorsi in piazza, credenti o meno, contro la polizia, riconosciuta ancora come il braccio armato e organizzato del vecchio potere che stenta ad andarsene. Anche un ragazzo che è intervenuto nella nostra assemblea è venuto con un segno di una manganellata sul braccio appena presa negli scontri, la gente è stanca e non è più disposta ad abbassare la testa, non è più disposta a sottostare a delle regole che non sono condivise.
Questa rivoluzione è stata fatta per la libertà, l’indipendenza, la democrazia, la giustizia sociale, ci dicono, non è la rivoluzione dei gelsomini, questi mesi hanno ridato speranza ai tunisini, tutto questo non si può semplificare in facili formule giornalistiche. La democrazia qui è una domanda reale e storica, non è formalità, non è un regolamento o una rappresentazione. I primi due governi provvisori, troppo compromessi con il regime di Ben Ali, sono stati sfiduciati dal basso, da quello che viene chiamato il movimento della Kasbah 1 e della Kasbah 2, tutti i ragazzi e le ragazze che abbiamo incontrato sono pronti a tornare in piazza se anche il terzo governo non vorrà ascoltare le loro proposte economiche, sociali e politiche. Questi ragazzi vogliono vivere e vivere meglio nel loro paese, c’è stato un non detto nella nostra assemblea di oggi, che si chiama Lampedusa, tutti loro hanno deciso di non scappare, di mettersi in gioco, di stare nelle piazze, di cambiare sé stessi e il loro paese, per far sì che dalla Tunisia non si debba fuggire. Noi abbiamo deciso di metterci in cammino, di metterci in viaggio per incontrare la nostra stessa generazione senza futuro al di là del mediterraneo, oggi ci siamo incontrati a metà strada.
Vanessa Bilancetti – Unicommon Roma

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