mercoledì 13 aprile 2011

Diario dalla Tunisia


Una breccia nel muro del Mediterraneo
L’ultima visione tunisina è l’aeroporto vuoto, nessuno parte e nessuno torna. La stagione turistica sarà una catastrofe, tutte le prenotazioni per pasqua sono state cancellate e per l’estate non si prevede nulla di buono. Per ora non si fermano nemmeno più le crociere. E’ probabile che finché non finirà l’allarme immigrazione clandestina l’industria del turismo in Tunisia non riuscirà a riprendersi, eppure visto da questa sponda del Mediterraneo l’allarme invasione ha tutt’altre sfumature. Al confine tra Libia e Tunisia sono passate più o meno 200.000 persone ed ogni giorno aumentano, in Italia non entrano più di 350.000 immigrati all’anno, mentre negli ultimi anni cresce esponenzialmente  il numero di emigrati italiani (nel 2010 più di 66.000). In ogni caso è vero che le barche continuano a partire dalle coste tunisine, piene di giovani che scappano dalla disoccupazione   e dalle ingiustizie, giovani che non riescono a provare fiducia ne loro paese perché Ben Ali sembrava averla cancellata per sempre. 
Nel frattempo noi in un’ora e dieci siamo di nuovo a Roma, mentre c’è chi muore nel Mediterraneo per raggiungere il nostro paese. Dopo dodici ore di sonno, sono rimasta bloccata nel traffico, e chiaramente sono arrivata all’università in ritardo, devo ancora scrivere la tesi e mi assalgono le ansie sul cosa fare dopo. L’Italia, insomma, continua a scorrere nella sua routine, tra dichiarazioni e smentite di Berlusconi e dei suoi ministri.
LA RIVOLUZIONE
Siamo partiti con le nostre convinzioni di uomini e donne occidentali, ci siamo trovati di fronte persone che sono stufe di essere costrette a prendere noi come punto di riferimento obbligato. I tunisini hanno alzato la testa, è stato evidente fin dal primo giorno, fin dalla prima assemblea organizzata con gli studenti.  Dali, Jouad, Mohammed e tutti i giovani tunisini stanno mettendo in gioco la loro vita, questo fermento, questa continua discussione, questa voglia di spiegarci il loro punto di vista e quello che hanno fatto e continuano a fare per il loro paese mi ha profondamente affascinato.
Nonostante tutte le divisioni che abbiamo incontrato su alcuni punti si sono trovati praticamente tutti d’accordo: in primis tutti i tunisini definiscono la cacciata di Ben Ali come una rivoluzione, che non si è fermata, e che per molti non si deve assolutamente fermare, alle dimissioni del despota, bisogna costruire un nuovo sistema di governo che non sia fondato sulla corruzione, sull’oppressione e sulla repressione. La rivoluzione è stata spontanea ed ha sorpreso tutti, ma è stata costruita dalle lunghe lotte degli anni precedenti, in particolare lo sciopero dei minatori nel 2008,  quindi è stato un movimento spontaneo ma con delle radici profonde. Dai diplomati disoccupati alle donne democratiche, dai membri del sindacato al gruppo di street artist tutti hanno sottolineato come questo sia un processo rivoluzionario ancora aperto, è ora il momento più difficile, quello degli scontri più aspri, dove la nuova Tunisia sarà plasmata. Le prime manifestazioni sono cominciate nell’entroterra, nelle regioni più povere, dove si lottava soprattutto contro la disoccupazione e le condizioni di lavoro, poi la lotta si è allargata veramente a tutto il paese, quando è arrivata a Tunisi la parola d’ordine era già diventata: degage! Ben Ali è scappato ma la disoccupazione, le precarie condizioni di lavoro, la mancanza di prospettive per le giovani generazioni, la corruzione, il malaffare sono rimasti, ma ora c’è la possibilità di poterli affrontare attraverso una partecipazione larga. Ci sono ancora tantissimi scioperi e proteste nella fabbriche e per la strade, la questione del rapporto tra religione e stato sta diventando una questione centrale ora che la formazione dei partiti è libera. In questi mesi i tunisini dovranno avere la forza di definire un nuovo stato e una nuova economia, le tante persone che abbiamo incontrato e ascoltato ci hanno dato l’impressione di essere pronti a lottare ancora perché la Tunisia sia più democratica, più libera, più equa.
Questo piccolo paese ha dimostrato un grande forza, così grande che è stato capace di incendiare tutto il mondo arabo, di dare la forza agli egiziani, agli yemeniti, ai siriani, ai libici di lottare contro le tirannie, le dittature e l’oppressione. Ma è evidente che molto ancora deve accadere e che nulla è scontato.
IL PONTE SUL MEDITERRANEO
Costruire un ponte tra paesi diversi, culture diverse, diversi modi di leggere il mondo e la realtà non è mai facile, ma la Tunisia ci ha insegnato che bisogna avere la forza, il coraggio, l’audacia di essere all’altezza del proprio tempo. Questi uomini e queste donne hanno ora in mano il loro futuro e quello del loro paese e ne hanno la piena consapevolezza.
Queste giornate ci hanno permesso di incrociare i volti dei migranti al confine in fuga dalla guerra, di incontrare le parole dei giovani medici volontari, di ascoltare la protezione civile e la mezza luna rossa, di confrontarci con gli studenti tunisini, di incontrare il sindacato, di parlare con le donne e le studentesse. Sguardi, parole, sorrisi.
Non so se ci sia qualcuno dietro tutto questo, forse l’esercito, i poteri economici, le grandi multinazionali, gli Stati Uniti…nella storia però bisogna prendere in consiederazione anche i soggetti, gli attori, le persone: i tunisini e le tunisine che sono scese in piazza e che hanno cambiato la loro vita.
E’ un processo aperto e ancora contrastante, ma la nostra carovana si è sentita completamente parte di questo processo, come ci ha detto Fathi, sindacalista del UGTT,«siete venuti in tanti poco dopo le settimane della rivolta, siete stati coraggiosi, essere qui e adesso significa essere parte di tutto questo».
Ci siamo sentiti parte di questa rivolta e speriamo di portare con noi la voglia di libertà, diritti e democrazia, mentre in Europa le frontiere si irrigidiscono e i confini diventano muri, noi abbiamo provato a costruire nuovi ponti e nuove relazioni.
IL MEETING EUROMEDITERRANEO
Lascio i miei compagni  e le mie compagne di viaggio, mi dispiace salutarli e salutare con loro questo paese dove tira un vento di passione. Ma sappiamo che alcuni dei tunisini conosciuti li rincontreremo a Roma al meeting euromediterraneo del 12 e 13 maggio alla Sapienza, perchè la Tunisia ci ha insegnato che l’Europa è grande e il Mediterraneo deve tornare ad essere un mare di unione e di incontro, non di morte e restrizione.
Allora saluto la Tunisia e i nostri nuovi amici, pensando alle nuove relazione e convergenze trovate, a volte anche con difficoltà e penso che la libertà la si possa conquistare solo uniti.

Carovana Uniti Per La Libertà

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